Il Mausoleo di Cecilia Metella e la Chiesa di S. Nicola a Capo Bove

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Autore: Redazione GotellGo (Archeologia)
Creato il: 05/04/2010
Data Da: 04/04/2010
Data A: 04/04/2010
Pubblicato: Si
Licenza: Creative Commons License
Nazioni: Italy
: roma
Posti visitati: Chiesa di S. Nicola a Capo Bove, Triopio di Erode Attico, Mausoleo di Cecilia Metella

Situato al III miglio della via Appia antica, il mausoleo di Cecilia Metella deve la sua sopravvivenza al fatto di essere stato inglobato nel Castrum Caetani in epoca medievale.

La lastra marmorea collocata sulla parte alta del monumento ci illumina sulla nobile romana, alla quale il monumento venne dedicato, Cecilia Metella, figlia di Quinto Metello Cretico e moglie di Crasso. Il padre, console nel 69 a.C., ebbe il soprannome di Cretico per la vittoria riportata sull'isola di Creta; il marito, esponente di una delle famiglie patrizie della città, va identificato forse con il figlio del triumviro e generale di Cesare in Gallia.

Nel Medioevo, il mausoleo venne soprannominato "monumentum peczutum" perché‚ in origine doveva essere coperto da un cono di terra, secondo la tipologia delle tombe a tumulo tipiche del bacino mediterraneo nell'antichità.

Il Mausoleo, che ricorda nella forma quelli di Augusto e Adriano all'interno delle mura, era costituito da un cilindro di circa 30 metri di diametro, rivestito di lastre di travertino lavorato a finto bugnato. Il basamento È in opera cementizia, anch'essa rivestita originariamente con lastre di travertino, asportate in epoca rinascimentale per essere riutilizzate nella costruzione di altri monumenti.

La parte superiore del tamburo è decorata con un fregio continuo in marmo pentelico ornato con bucrani e ghirlande, motivo per il quale il monumento in epoca medievale venne soprannominato Capo di Bove. In corrispondenza dell'iscrizione dedicatoria il fregio si interrompe per lasciare spazio a una scena su due file di lastre, raffigurante un trofeo, due scudi e un prigioniero con le mani legate sulla schiena. E' molto probabile che il rilievo fosse stato realizzato in memoria delle vittorie belliche della famiglia della defunta. In base agli elementi architettonici e stilistici, il monumento deve essere stato eretto tra il 30 e il 20 a.C.

Accedete al monumento salendo la breve scalinata.

A sinistra dell'ingresso, un breve corridoio conduce alla stretta e slanciata camera sepolcrale, rastremata verso l'alto e rivestita in cortina laterizia. La parte inferiore della cella era collegata ad un altro corridoio che a sua volta immetteva in una galleria collegata ad un pozzo per l'acqua profondo 11 metri, realizzato in epoca medievale.

Nel II sec. d.C. l'intera zona, compresa la villa di Massenzio, venne inglobata nel cosiddetto Triopio di Erode Attico, il ricco retore ateniese che divenne maestro degli imperatori Marco Aurelio e Lucio Vero, sposato con la nobile romana Annia Regilla, che portò in dote i vasti terreni sull'Appia, di cui era proprietaria. Alla morte della sposa, Erode Attico fece trasformare tutta la zona in un vasto santuario, chiamato appunto Triopio, delimitato da iscrizioni che ne sottolineavano la sacralità.

Nel Medioevo, il mausoleo diventò una testa di ponte per il possesso della via Appia. La fortificazione originaria risale all'XI secolo per opera degli allora proprietari, i Conti di Tuscolo. Obiettivo di questa nobile famiglia, che iniziò a percepire pesanti gabelle dai viandanti, era il controllo della strada che conduceva ai propri possedimenti nel Lazio Meridionale. 

Nel XIV secolo il mausoleo, già utilizzato come torre fortificata, venne acquisito dai Caetani, che realizzarono una piccolo  borgo fortificato e continuarono a controllare i traffici lungo la via Appia. Il piccolo castello si estendeva lungo i due lati della strada e comprendeva anche una serie di abitazioni e una chiesa parrocchiale.

Trasferito prima ai Savelli, poi ai Colonna e agli Orsini, il Castrum rischiò di essere demolito nel 1588 per volere di Sisto V, ma il provvedimento venne sospeso in seguito a un accorato intervento del popolo romano in Campidoglio.

Il monumento cessò quindi di essere teatro di vicende importanti e venne utilizzato per lo più come luogo di accampamento per truppe militari in marcia per Roma. L'impianto originario della fortezza, coronata da merlature ghibelline, è facilmente riconoscibile, nonostante lo spoglio di gran parte degli elementi architettonici e decorativi originali.

Il complesso, costruito in blocchetti di peperino, secondo la tecnica del XIII secolo, consisteva di un ampio recinto rettangolare, separato in due settori dalla via Appia. La parte orientale includeva il cosiddetto "maschio" costituito dal mausoleo di Cecilia Metella, rinforzato superiormente con un ballatoio superiore contornato da merli ghibellini. Affiancato ad esso era il palazzo vero e proprio, costituito da cinque grandi ambienti illuminati da eleganti bifore marmoree e da piccole aperture quadrate con stipiti in marmo nei piani superiori.

Da antiche incisioni sappiamo che gli ingressi al castello, in corrispondenza della via Appia, oggi scomparsi, erano decorati con archi in laterizio.

All'interno delle stanze del palazzo sono stati allestiti numerosi materiali archeologici provenienti dai monumenti della via Appia Antica, molti dei quali rinvenuti in occasione dei restauri effettuato da Antonio Muñoz.

Subito dopo l'ingresso, sulla sinistra, è disteso per terra il frammento di una colonna di cipollino proveniente dalla villa dei Quintili; seguono collocati sui muretti e lungo le aiuole, una miriade di frammenti di elementi architettonici modanati, di rilievi, di statue, di iscrizioni, di capitelli. Particolarmente interessanti le statue funerarie acefale, raffiguranti dei togati, databili tra la fine dell'età repubblicana e l'inizio dell'Impero e un grande frammento di archivolto con putti che sorreggono ghirlande, visibile dalla parete di fondo del primo ambiente.

Uscite dalla fortezza e attraversate la strada. Osservate i resti dell'originario recinto del borgo, realizzato con blocchi di peperino misti a tufelli, scaglie di selce ricavate dai basoli dell'Appia antica e frammenti marmorei ottenuti dai rivestimenti dei sepolcri. Il recinto, anch'esso coronato da merlatura ghibellina, era difeso da una serie di torrette rettangolari munite di piccole finestre. Dentro il recinto, ma esternamente al Palazzo, era stata eretta la piccola chiesa dedicata a S. Nicola di Bari, unica rimasta delle numerose chiesette della zona e prezioso esempio di architettura gotica romana. E' ancora ben leggibile la pianta rettangolare con abside e campanile frontale. Lungo le pareti si conservano i contrafforti di sostegno e grandi finestre ad arco acuto. Per la sua collocazione la chiesetta è conosciuta come S. Nicola a Capo di Bove.