Visita al Carcere Borbonico di Santo Stefano

Carcere borbonico di Santo Stefano
Diario di: Redazione GoTellGo
Autore: Redazione GoTellGo
Goteller: Redazione GoTellGo
Categoria: turismo culturale
Creato il: 22/05/2010
Data Da: 21/08/1998
Data A: 21/08/1998
Licenza: Creative Commons License
Nazioni: Italy
: santo stefano
Posti visitati: Carcere borbonico

La visita all'isolotto di Santo Stefano, che deve il nome a uno dei nobili di Gaeta che ne era stato proprietario, è certamente un'avventura, vuoi per lo stato di abbandono, vuoi per la difficoltà di attracco, vuoi per la parziale privatizzazione del territorio.

Ciò nonostante, ottenute le necessarie autorizzazioni comunali, la visita non è impossibile. SI raccomanda il massimo rispetto per le emergenze monumentali e naturalistiche sopravvissute.

Chiunque metterà piede sull'isola, non potrà non ripensare al dolore e all'abbruttimento vissuti dai tanti ergastolani e confinati relegati nel carcere a ferro di cavallo, di cui ancora si conservano i macabri resti e che, si spera, prima o poi verranno ristrutturati e destinati a un'utilizzazione molto più nobile.

Il carcere borbonico venne inaugurato il 26 settembre 1795 con l'invio di 200 detenuti, ma già nel 1797 ne ospitava 600 e nel XIX secolo addirittura 900. I primi perseguitati politici vennero inviati nel carcere nel 1799 in seguito ai moti rivoluzionari di Napoli.

Tra i condannati più illustri si ricordano Raffaele e Luigi Settembrini, Luigi Spaventa, Gaetano Bresci (l'anarchico che il 29 luglio 1900 uccise il re d'Italia Umberto I), Umberto Terracini, Sandro Pertini, Rocco Pugliese.

Alla fine della seconda guerra mondiale il carcere tornà all'originaria funzione di carcere giudiziario, per ergastolani. Venne chiuso definitivamente il 2 febbraio 1965.

Il carcere fu progettato dall'architetto Carpi che per la sua costruzione utilizzò galeotti destinati a esservi imprigionati.

E' caratterizzato da una pianta a ferro di cavallo che riprende in parte la conformazione dell'isola.

L'isola era perennemente schiaffeggiata dalle onde che si infrangevano lungo le sue coste e conseguentemente i condannati venivano colpiti psicologicamente e dissuasi da qualsiasi tentativo di fuga.

Il Carpi progettò una serie di loggiati e arconi flessi ad arco affinché i prigionieri fossero sempre esposti al controllo dei carcerieri.

Anteriormente la struttura era chiusa da un avancorpo con torrette semicircolari esterne. All'interno del cortile era sistuata una piccola cappella esagonale e due vere di pozzo per attingere acqua dalla cisterna sottostante.

Lungo il perimetro del ferro di cavallo erano disposte su tre ordini 99 celle di cm 4,50 x 4,20, che nel XX secolo vennero raddoppiate erigendo al centro di ognuna di esse un muro divisorio.

All'ingresso del carcere, il Carpi fece apporre in latino, la frase "Fintanto che la Santa Giustizia tiene in catene tanti esemplari di scelleratezza, sta salda la tua proprietà, rimane protetta la ta casa".

 

Dalle fonti:

"Ogni cella ha lo spazio di sedici palmi quadrati e ce ne ha di più strette: via stanno nove, dieci uomini e più in ciascuna. Sono nere ed affumicate come cucine di villani, di aspetto miserrimo e sozzo; con le pareti nere, dalle quali pendono appesi a piuoli di legno pignatte, tegami, piattelli, fiaschi, agli, peperoni, fusi, conocchie, naspi, ed altre sudicie masserizie: una seggiola è arnese raro, un tavolino rarissimo [...]. Tetre sono queste celle il giorno, più tetre e terribili la notte; la quale in questo luogo comincia un'ora prima del tramonto del sole, quando i condannati sono chiusi nelle celle, dove nella state si arde come in fornace, e sempre vi è puzzo. O quanti dolori, quante rimembranze, quante piaghe si rinnovellano a quell'ora terribile! Nel giorno sempre aspetti e sempre speri, ma quando è chiusa la cella ed alzato il ponte levatoio, più non aspetti e non speri, e ti senti venir meno la vita. Allora non odi altro che strani canti di ubbriachi, o grida minacciose che fieramente echeggiano nel silenzio della notte, come ruggiti di belve chiuse; talvolta odi un rumore sordo e indistinto di gemiti e grida, e la mattina vedi cadaveri nella barella [...]. Quanto, stanco di ozio, d'inerzia e di noia, cerchi un po' di riposo e di solitudine nel duro e strettissimo letto, mentre dimenticando per poco gli orrori del luogo, corri dolcemente col pensiero alla tua donna, ai tuoi figliuoletti, al padre, alla madre, ai fratelli, alle persone care dell'anima tua, senti il fetido respiro dell'assassino che ti dorme accanto, sognando quando rutta vino e bestemmie. O mio Dio, quante volte con gli occhi aperti nel buio io ho vegliato sino a giorno, fra pensieri tanto crudeli, che io stesso ora mi spavento a ricordarli". (Luigi Settembrini, Ricordanze della mia vita, 1879),

Wikipedia: Isola di Santo Stefano